Dovete guardare Un gioco da ragazze, album illustrato di Alessandra Lazzarin per Orecchio Acerbo, come se ogni tavola fosse riflessa in uno specchio. Uno specchio magico, però. Anzi, pensate che ogni pagina ha il suo doppio. Il doppio è molto più bello dell’immagine reale, anche se il doppio non tradisce la realtà: la duplica esattamente. Però nel doppio gli spazi bianchi sono saturati di colori e di particolari che la realtà visibile non ha.
Cominciamo dalla cover: tre bambine sedute su tre seggioline verdi, di spalle, guardano un orizzonte bianco. Quasi tutto è bianco, tranne loro, con i loro caschetti castani attraversati da lame di luce. Ora guardate il doppio, cioè, andate alla fine: nella quarta di copertina, le tre bambine, nella stessa identica posizione della cover, ci guardano, ma non più di spalle: di fronte a noi, le tre cucciole, sui loro corpi esili, hanno i volti sorridenti di un cerbiatto, di una tigre e di un orso. E noi che credevamo di aver visto solo tre bambine sedute!
Così le coppie di pagine ci conducono dalla realtà visibile, piatta, bianca, essenziale, al mondo immaginario tridimensionale, colorato, eccessivo di tre bambine che inventano e vivono la stessa scena in perfetta sincronia.
Le bambine attraversano un bosco fitto e rosso, quando noi vediamo solo un prato di foglie autunnali.
Le bambine-skipper cazzano la randa mentre il vento solleva le vele della loro barca, su un mare invernale pieno di luce, ma noi vediamo solo tre bambine che giocano con le tende stese al sole.
Le bambine rotolano per terra mimando scoordinati esercizi, mentre loro sono allo stesso tempo lì e su una scena più bella, più piena, più vera, più emozionante: sotto il tendone di un circo, insieme, o sul dorso di una balena, o su un circuito automobilistico.
Il gioco della fantasia: un gioco da ragazze
Sembra un gioco da ragazze! Invece, è un gioco da bambine, ma è un gioco irripetibile: se siete cresciute o cresciuti, sapete benissimo che quel gioco, che si chiama Fantasia, non ci verrà bene, anzi, non ci riuscirà mai più. E se avete figlie, o siete state bambine, ricorderete anche che la capacità di trasfigurare la realtà, di trasformare i giorni in una storia e in un viaggio senza uscire dalla stanza della nonna era un gioco femminile, e se poteva essere plurale, condiviso con una sorella o con un’amica, allora diventava potentissimo!
Immaginazione, fantasia, magia: sostantivi femminili non a caso
Le didascalie dell’album sono ridotte all’essenziale per lasciar parlare le immagini dal tratto luminoso e trasparente, che l’autrice ha ritratto en plein air seguendo i giochi delle sue bambine di tre anni e valicando, con il suo sguardo di madre e di artista, il confine che separa il visibile dall’immaginario. I disegni ad acquerello restituiscono l’impressione del movimento, della luce, di un universo difficilmente rappresentabile come la percezione di una realtà aumentata senza additivi.
Le tavole di Un gioco da ragazze, a noi che ragazze non lo siamo più da poco o da tanto, ci fanno ricordare come i giorni potevano essere: più intensi, più pieni, diversi dalla scena che vedevano i nostri genitori o i nostri nonni e che vediamo noi, ex bambine, oggi.
Se lo sfogliamo con un bambino, ci sembrerà di spiare, come un ospite indiscreto, le stanze segrete della sua immaginazione, mentre il bambino ammirerà sulle pagine il riflesso di ciò che lui vive nella scena delle giornate che noi non viviamo più.
Ciascuno di noi ha fatto esperienza di come la vita, crescendo, si trasformi in un processo di azioni senza storia, che solo raccontando, nel sogno, nella memoria, nella fantasia diventano vere, degne di nostalgia.