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Perché devo dare ragione agli insegnanti di mio figlio

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Maria Teresa Serafini, Perché devo dare ragione agli insegnanti di mio figlio, La Nave di Teseo

Protagonisti indiscussi di questo libro scritto da Maria Teresa Serafini, docente di Scienze dell’educazione, per la Nave di Teseo,  sono i genitori e gli insegnanti.
Vi si tratta ampiamente e con puntualità del rapporto tra famiglie e istituti scolastici, così qua e là compare qualche dirigente, e qua e là qualche maestra privata che segue i ragazzi a casa.

Perché devo dare ragione agli insegnanti di mio figlio è un libro che riesce a tematizzare un notevole numero di questioni: dagli stili educativi di famiglia e scuola, ai tratti distintivi di carattere e intelligenza dei ragazzi; dai tipi di scuola e programmi, al valore delle tecnologie nell’insegnamento e nella vita di tutti i giorni; dall’organizzazione dei tempi dedicati ai compiti a casa ai metodi valutativi fino all’incontro tra scuola e famiglia in occasione del colloquio.

Il colloquio

Il colloquio è virtuoso quando è affrontato con un ascolto attivo e una comunicazione efficace, ma ci possono essere anche colloqui difficili e conflittuali.

Ecco la presentazione iniziale dei Tipi di genitori a colloquio (p.230):

Presentiamo alcuni tipi particolari di genitori su cui si ironizza spesso sui giornali. Leggere la tipologia seguente può aiutare i genitori a riflettere sull’atteggiamento con cui affrontano la scuola e i professori, che sono i suoi meravigliosi alleati, ovviamente con tutte le imperfezioni degli esseri umani.

I genitori possono essere aiutati a comportarsi meglio e a capire i loro meravigliosi alleati, gli insegnanti, che sono imperfetti solo perché umani.

E ora la presentazione iniziale dei Tipi di insegnanti a colloquio (p.232):

Dall’altra parte c’è il docente che va capito con la sua sensibilità e le sue difficoltà. Generalmente è un serio professionista, ma estremizzando possiamo riconoscere alcuni suoi tratti, che possono avere effetti negativi sull’esito del colloquio.

Gli insegnanti non possono essere aiutati a comportarsi meglio, ma solo ad essere meglio compresi dai genitori, poiché, anche se seri professionisti, e solo estremizzando, possono avere tratti problematici per la relazione.

Viola non sarà mai una bambina brillante

A un certo punto del libro, si dice che le verifiche vengono archiviate in strategia difensiva per poter rispondere a eventuali lamentele della famiglia, il che mi ha fatto cogliere in sintesi l’anima del libro intero, che è, appunto, un’anima in difesa: in difesa degli insegnanti. Non sto dicendo che gli insegnanti non siano da difendere, come categoria, dico che questo sia l’ultimo dei modi giusti per farlo.

Quella che segue è una delle molte situazioni di vita reale riportate come banco di prova attraverso cui i genitori possano testare la propria capacità di mettersi in relazione virtuosa con gli insegnanti.

Poniamo che invece della risposta C (per l’autrice la migliore), quel giorno Carmen sia arrivata al colloquio pensando solo a sua figlia Viola. Con ogni probabilità, Carmen, dal temperamento sudamericano sanguigno e diretto, avrebbe optato per la risposta A (e non avrebbe avuto torto, a parere mio).
Il punto è che in genere tutti i genitori pensano solo ed esclusivamente ai propri figli quando si presentano al colloquio. Voglio dire: non pensano alla sensibilità della maestra; non pensano al carattere della maestra, se sia aperto alle critiche, capace di dialogare sui metodi oppure no; non pensano alle aspettative della maestra e al suo mondo interiore.
Pensano solo ai propri figli.

Educare un genitore si può e si deve fare, ma non sulle modalità di relazione con la scuola – rendendolo competente dei meccanismi che regolano la scuola stessa, delle gerarchie interne, delle modalità valutative – ma sul modo migliore di educare un essere in età evolutiva, e non un essere qualunque, ma proprio quell’essere che è il loro figlio. Un maestro può guidare la madre nella relazione educativa con il figlio, e anzi, deve, visto che ha studiato per essere dov’è e ha ben chiaro, o dovrebbe avere ben chiaro, quali siano gli obiettivi didattici e formativi sul quel bambino/bambina.

Quello che manca totalmente, in questo libro, è invece proprio questo sguardo dei docenti sui bambini e sui ragazzi. Qui, come altrove, i maestri e i professori sono interlocutori che dominano la relazione scuola-famiglia dal punto di vista etico e emozionale; l’ago della bilancia di ogni relazione virtuosa è il benessere della scuola, ovvero di chi ci lavora, che è cosa importante beninteso.

Lavorare oggi a scuola

Oggi andare a lavorare a scuola significa più o meno andare a lavorare all’inferno, poiché di fatto sulla scuola il governo – i tanti governi degli ultimi anni – investe pochissimo e il comparto scuola è dilaniato da una confusione endemica sui metodi di selezione, da precariato selvaggio, burocrazia asfissiante, retribuzione assolutamente inadeguata e una totale e drammatica assenza di un disegno culturale nazionale di ampio respiro in cui l’istituzione scolastica dovrebbe inserirsi con la corona in testa. Niente di tutto questo, ma tutto questo, che porta alla costituzione e legittimazione del “ruolo” dell’insegnante è, o dovrebbe essere, sancito dall’alto e non dal basso. Con le famiglie, il nuovo patto di fiducia può essere rifondato solo a partire dalla funzione dell’insegnante, e dunque dal valore e dal senso condiviso del lavoro su e per i bambini e i ragazzi (ma oggi siamo ancora a pregare, in fase di iscrizione a un nuovo ordine di scuola, di avere un maestro o un professore valido, perché ogni madre è consapevole che ne basta uno per salvare l’iter di crescita di un ragazzo).

Genitori competenti

Con competenza e maestria si è cercato dunque di aprire la scatola “scuola” e la scatola “famiglia” e si è anche tentato di analizzare uno ad uno tutti gli oggetti rinvenibili in ciascuna delle due scatole; un evidente sforzo interlocutorio mette in dialogo le due realtà e tuttavia in ogni esempio riportato non vi è un solo accenno alla vita e alle esperienze dei bambini e dei ragazzi coinvolti. L’impegno analitico è rivolto alla dinamica relazionale, e in ogni occasione ciò che fa della relazione tra genitori e insegnanti una relazione virtuosa, è la capacità dei genitori di non urtare la sensibilità degli insegnanti, di rispettare la diversità metodologica degli insegnanti, di comprendere i sistemi regolativi degli insegnanti.

Si cerca insomma di dare indicazioni di autoanalisi e di disamina delle varie dinamiche relazionali per rendere il genitore-lettore competente di queste dinamiche.

Ed è di fatto quello che la scuola negli ultimi anni sempre più chiede ai genitori, di essere competenti. Soprattutto in situazioni problematiche, con casi di malattie rare, per esempio, le famiglie devono informarsi e devono studiare per poter chiedere azioni adeguate da parte della scuola.

Nei casi più comuni e frequenti di un figlio con dislessia, io genitore devo informarmi sulle normative, sulle strategie educative, devo diventare competente sulla dislessia e aggiungere questa competenza specifica alla competenza di madre e di padre di quel bambino particolare, perché Luca che ha una forma di dislessia non è Marco che ha una forma di dislessia e non è Marta che ha una forma di dislessia, cosa questa non sempre chiara nelle strategie educative adottate da parte degli insegnanti e quindi vorrei tornare a Viola.

Una relazione al ribasso

Quando una maestra può dire a una madre “Ma signora, voi dovete aver chiaro che Viola non sarà mai una bambina brillante!” e quando, per fare un altro esempio, la tale professoressa Barbara (che ha sostituito un professore andato in pensione cui tutti i ragazzi erano legati e che aveva un metodo di insegnamento radicalmente altro rispetto a quello della nuova insegnante) può dire a una ragazzina, dopo averle consegnato un compito insufficiente, “E ora non andare a lamentarti da tua mamma”.

Ecco, quando c’è un canale sospeso sulla testa dei bambini e dei ragazzi che porta dall’operato delle maestre e dei professori alla famiglia, un canale sospeso che non passa attraverso i bambini e i ragazzi ma li scavalca completamente, a me sembra che non ci possa essere nessuna scuola con cui dialogare, ma posizioni che nel mettersi in relazione acuiscono la propria implicita distanza, poiché non è il dialogo in sé l’obiettivo della relazione tra scuola e famiglia, l’obiettivo è la crescita felice dei bambini e dei ragazzi che le famiglie affidano alla scuola.

Se una maestra dice che Viola non potrà mai essere brillante, significa che ogni giorno quella maestra instaura con Viola una relazione al ribasso in cui da Viola non si aspetterà mai nulla di brillante. Ma Viola magari è capace di giocare. Magari la sua dolcezza è contagiosa. Magari ha gli occhi che brillano, Viola, e non per cadere nel sentimentalismo (che sopra ogni cosa bisogna fuggire in educazione), ma per dire che qualcosa di brillante, Viola, come ognuno di noi, ce l’ha sicuramente.

Sennò non è che ha sbagliato Viola a non essere svelta, e non è che ha sbagliato la madre di Viola, novella counselor, a scegliere la strategia relazionale con la maestra, no, per parte mia, più semplicemente, se la maestra è una che, sentendosi offesa, potrebbe avere un atteggiamento ostile nei confronti di una bambina, se la maestra è una a cui bisogna dare consigli educativi per incoraggiare una bambina, se la maestra è una che potrebbe, da insicura, chiudersi a riccio, ecco, questa maestra, incapace di svolgere la propria funzione, ha solo sbagliato mestiere e un discorso del genere, inclusivo di tutte queste possibilità di reazione di fatto legittimate, è proprio un discorso da non fare.

 

[Immagine di copertina tratta dal quaderno di scuola di una bambina di otto anni.]

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