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Antigone sta nell’ultimo banco (Giunti)

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antigone sta nell'ultimo banco

Francesco D’Adamo, Antigone sta nell’ultimo banco, Giunti

Io sono fatta per condividere l’amore, non l’odio.

Pur essendo ormai lontani gli anni del liceo, qualcosa la ricordo ancora molto chiaramente. Tanto mal sopportavo le versioni quanto, al contrario, amavo la letteratura, soprattutto quella greca. Di quest’ultima poi è stato il teatro a risvegliare maggiormente il mio interesse e, in particolare, la tragedia. La forza del teatro antico è tale che ancora oggi si conserva intatta ed è in grado di parlare a chi voglia mettersi in ascolto, anche alle nuove generazioni, quelle che sembrerebbero lontane anni luce dalle voci di un coro che giunge dal passato.

È proprio ai ragazzi di oggi che si rivolge Antigone sta nell’ultimo banco, il romanzo di Francesco D’Adamo che porta con sé la forza della scrittura del suo autore ma anche la forza del teatro greco.

L’Antigone di Sofocle è, infatti, la tragedia che sta per essere messa in scena nel saggio di fine anno della scuola di Jo la Peste. La recita, che ha luogo nel Teatro Comunale, chiude per Jo l’anno scolastico, dando il via all’estate e alla conclusione della scuola media. Tutto potrebbe andare come ogni anno ma questa volta, a quindici giorni dalla rappresentazione, accade qualcosa che sconvolge la vita di Jo e della comunità alla quale appartiene.

Nelle prime pagine del libro, Jo, voce narrante, riassume la trama della tragedia: Antigone sta per essere sepolta viva per aver disobbedito a un editto di Creonte, re di Tebe, avendo dato sepoltura al cadavere del fratello Polinice, ucciso mentre attaccava la città. Antigone è condannata a morte, nonostante la disperazione della sorella Ismene e del fidanzato Emone, figlio dello stesso Creonte, che alla fine si suicida per il dolore.

Adoravo quella parte perché mi faceva sentire giusta, coraggiosa, fichissima, cioè tutto quello che non ero nella realtà.

Jo è sicura che sarà lei a interpretare la parte di Antigone, ma in realtà non sa ancora se sarà quello il suo ruolo perché l’insegnante di teatro, per evitare protagonismi, fa provare le scene a rotazione: tutti interpretano tutti e solo all’ultimo saranno svelati i ruoli definitivi per la recita finale.

Il Popolo del Fiume

Parallelamente alla vita di Jo tra scuola, prove e vita in famiglia, compare sin dalle prime pagine una realtà che vive al margine, quella del Popolo del Fiume.

A causa del caldo, infatti, è cominciata in anticipo la raccolta dei meloni e con questa sono arrivati gruppi di braccianti, soprattutto immigrati clandestini, molti senza documenti, che vivono accampati sull’Argine Grande, visti con sospetto in paese, eppure essenziali. Una contraddizione che nota da subito anche la giovane ragazza.

Quello che io non capivo era perché, visto che venivano ogni anno e ne avevamo bisogno, c’era tanta gente che ne parlava male e li guardava storto.

L’arrivo del Popolo del Fiume è accompagnato da pregiudizi e da raccomandazioni in più, specie per le ragazze, di non uscire la sera, di non fare il bagno nel fiume, di fare attenzione, perché ci sono “Quelli”.

Per Jo è diverso. Suo padre, che lei da due anni – dopo la morte della madre – chiama solo per nome, Federico, è un medico che lavora duramente, senza orari, per i suoi pazienti e non è intaccato da alcuna forma di pregiudizio. Il fratello maggiore invece, chiamato affettuosamente Pelù, sembra essere stato invaso, come molti altri in paese, da quella che Jo e la sua amica Carlotta chiamano una Nebbia Aliena che trasforma tutti in zombi.

Come Carlotta e Jo sembra pensarla anche un personaggio misterioso, Cat Fly, che ha cominciato a realizzare in città dei graffiti che restituiscono gli abitanti del paese nelle loro fattezze di zombi.

Il ragazzo senza nome

In questo clima, già di per sé poco sereno, si verifica un evento tragico: una mattina all’alba viene trovato il corpo senza vita di un ragazzo. Si tratta di un ragazzo molto giovane, senza documenti e senza nome, all’inizio si diffondono subito voci legate a faccende di droga o a regolamenti di conti, ma l’autopsia renderà chiaro a tutti che la verità è un’altra. Si tratta di uno dei ragazzi che lavorano alla raccolta dei meloni ed è morto per la fatica, obbligato, come tutti gli altri, a lavorare sotto il sole anche per dodici ore di fila in una condizione fisica già debilitata.

La tragedia avvenuta dovrebbe mettere la comunità davanti alle proprie responsabilità, invece si inaspriscono i toni e i conflitti.

Prendere posizione

Sono tanti i fili che si intrecciano nella trama del romanzo. La realtà quotidiana si intreccia alla tragedia dell’Antigone nel momento in cui, negando una qualsiasi umana pietà, il paese si rifiuta di occuparsi di una seppur economica sepoltura per il ragazzo senza nome. Ma qualcuno non ci sta.

Antigone sta nell’ultimo banco è un romanzo che vorrei su molti banchi di scuola e in molte case. La scrittura di Francesco D’Adamo, pur in tutta la sua piacevolezza e semplicità, si carica di tensione e si insinua nella mente nel lettore ponendogli delle domande. Sono necessarie, in certi momenti più che in altri, delle scelte, anche nella scrittura quando osserva il mondo e ce lo restituisce, mostrandoci ciò che ci farebbe comodo non vedere.

Del libro, edito da Giunti, abbiamo anche apprezzato la bella copertina, una illustrazione di Giacomo Agnello Modica.

 

 

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