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Toc, Toc… casa Settenove?

Settenove parla delle donne e di come bisognerebbe parlare delle donne, una sfida contro la violenza di genere e gli stereotipi, perché cambiare si può!
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Oggi entriamo a casa Settenove che sta in un piccolo centro delle Marche, Cagli. Uh che profumo di nuovo! Il divano ha ancora il cellophane, le pareti sono pitturate di fresco: i primi titoli usciranno tra poco… Mi accoglie Monica Martinelli che questa casa l’ha ideata e costruita, cercando di renderla un posto davvero speciale da abitare per sé e per i lettori.

Allora, Monica …3 …2 …1: settenove! Per una volta partire dai numeri e non dalle parole.

Settenove è un modo per ricordare il 1979, un anno importante per le donne, nel quale le Nazioni unite hanno adottato la CEDAW, la Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, che costituisce ancora oggi il parametro di riferimento per la condizione femminile in tutti gli stati aderenti; che vide la prima donna in Italia, Nilde Iotti, salire alla terza carica dello Stato e durante il quale la Rai ebbe l’audacia di mandare in onda il documentario “Processo per Stupro“, di Loredana Rotondo, che portò l’opinione pubblica a riflettere sulla duplice violenza subita dalla parte lesa: lo stupro e il processo alla moralità della vittima, e dalla quale scaturì una proposta di legge di iniziativa popolare per una nuova legge contro la violenza sessuale. Ho pensato che, in qualche modo, dovesse essere celebrato.

E ora le parole: se dovessi scegliere delle parole che hanno dato avvio all'idea e alla forma di settenove, sarebbero?

Violenza, discriminazione, rigidità, liberazione, propositività, infanzia, ma più di tutte "liberazione dell'infanzia".

Una casa editrice lavora con la lingua, sulla lingua; nel caso di settenove si tratta di lavorare sulla fissità di un ambiente linguistico nel quale si specchia il valore e il senso dei generi per la nostra società, scardinando luoghi comuni, radicate idee di maschile e femminile. Qual è la strada da prendere?
 

L'educazione è l'unica percorribile. La denuncia e l'impegno civile che coinvolge l'età adulta sono importanti ma le sovrastrutture che rendono accettabile la prevaricazione di un sesso sull'altro sono troppo radicate per essere eliminate ascoltando una testimonianza. E' necessario ripartire da zero, per evitare a priori che i bambini assimilino e digeriscano come fatti assodati le categorie preconcette e discriminatorie che fanno da tappeto alla violenza.  E' un lavoro realmente efficace, ben più delle leggi repressive, ma gli effetti si verificano nel lungo termine, mentre la politica di oggi ha bisogno di risultati immediati da rivendere alle elezioni successive. L'educazione è la strada che avremmo dovuto intraprendere fin dal '79, quando l'Onu, per mezzo della Cedaw riconobbe la pericolosità degli stereotipi di genere e chiese agli stati aderenti di fare il possibile per abbatterli in ambito scolastico; o ancor prima, dal 1973, quando Elena Gianini Bellotti sottopose il problema  e offrì una proposta alla comunità degli educatori.

Per chiudere la donna in poche parole, come fossero lati di una prigione. 

Brava, bella buona e zitta

E per darle parole come fossero ali.

Libera, indipendente, consapevole

Il progetto Settenove si confronta con la realtà italiana; guardando alla situazione europea, quanto lavoro c'è ancora da fare?

Il lavoro da fare è ancora molto, anche negli Stati che hanno fatto delle pari opportunità il baluardo del proprio sviluppo perché l'emancipazione delle donne passa attraverso la loro liberazione e la liberazione comporta lotta, spesso violenta contro il prevaricatore. Ne è prova il fatto che persino nei paesi nordici la violenza contro le donne ha indici molto alti  e che in Italia si registra più violenza al nord che al sud, dove la condizione femminile è più difficile ma meno donne decidono di ribellarsi. 
Tuttavia, in alcuni paesi esteri esiste maggior consapevolezza del problema: se ne parla, lo si studia, si dà un nome al fenomeno e si cerca di affrontarlo. Persino in Spagna, dove la violenza contro le donne ha una percentuale alta quanto quella italiana e i costumi sono molto simili ai nostri, il fenomeno della violenza è affrontato in modo più incisivo, con un Osservatorio sulla violenza di genere, un Tribunale dedicato e più aiuti ai centri antiviolenza. 
In Italia è difficile persino parlarne nel modo corretto. Anche ora, che l'argomento è per così dire "di attualità", le notizie continuano a esplodere in dibattiti sensazionalistici al solo scopo di indurre a credere il lettore o l'elettore che si stia affrontando il problema, ma senza andare alla radice. Il  recente decreto sul femminicidio che punta solo sull'aspetto repressivo ne è la conferma. Il fatto che esorti ad un potenziamento dei centri antiviolenza senza stanziare fondi dimostra che il decreto è stato scritto senza la necessaria analisi della situazione italiana che solo una piattaforma composta dai rappresentanti dei centri antiviolenza italiani poteva offrire. Così come il mancato riferimento all'abbattimento degli stereotipi di genere in ambito educativo, per l'assenza del quale – fin dagli anni passati – l'Italia ha ricevuto svariati richiami da parte degli organismi internazionali.
Così facendo la situazione non cambia: come al solito, saranno tutti d'accordo nell'affermare che" le donne non si picchiano", con discreta convinzione, ma raramente troveremo qualcuno che si indigna per una donna di mezza età, una mamma o una nonna, che non si permette di uscire di casa da sola. L'Italia è fatta di piccoli borghi, non solo di città con donne emancipate, e la violazione dei diritti umani delle donne rischia di essere tradotta ancora per molti anni in "cultura e tradizioni locali".

 

Grazie Monica, è stato davvero un piacere stare in questa piccola ma bellissima casa. 
E voi non perdete la prossima puntata: vi presenteremo i primi titoli Settenove!

 

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