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La chiamano Maturità (parte 1)

L'esame di Stato, o di Maturità, è un momento cruciale nella vita di ogni studente. Ecco come l'ho vissuto io, giovane lettrice di HeyKiddo.
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La mia notte prima degli esami è stata caldissima. Nessun particolare romantico, nessuna veglia in preda a timori e tremori, nessuna apprensione mista a esaltazione per l’imminente dipartita dalla scuola secondaria superiore. Solo un caldo allucinante. Una cappa di afa rende insopportabile il contatto con il materasso sempre più umido di sudore, il ventilatore tenta inutilmente di muovere l’aria, dalla finestra spalancata provengono I rumori della strada. Ho una gran stizza, perché so che se solo ci fosse qualche grado in meno dormirei tranquillamente. Non riesco a essere in ansia per un tema di italiano: una traccia congeniale la si trova sempre, e dopo cinque anni di liceo classico si spera di aver imparato un minimo a scrivere.

Solo quando arrivo a scuola il mattino seguente, con un buon quarto d’ora d’anticipo, comincio ad avvertire qualcosa di particolare, come se l’aria fosse più elettrica. Aspetto insieme ai miei compagni nei corridoi, contendendosi le poche seggiole, lanciando sguardi apprensivi ai commissari esterni, volti nuovi che paiono già ostili. Si cerca di chiacchierare e di stemperare con una battuta quella sensazione di fatalità. Già, perché solo in quel momento mi rendo conto che quello è l’esame di maturità. Che quello è l’ultimo tema di italiano che scriverò, ed è quello cruciale, quello con cui dovrò dimostrare cosa ho imparato in cinque anni trascorsi fra quelle mura muffite. E comincia a battermi forte il cuore, più che per l’agitazione per l’eccitazione di fronte a quella sfida.

E’ la presidente della commissione ad assegnarci I posti in banchi rigidamente equidistanti l’uno dall’altro, ma la serietà e l’ufficialità del momento è mitigata dalle chiacchiere a mezza voce prima della consegna delle tracce, e dalla professoressa di matematica, proprio quella che tanto detesto e che non avrei mai voluto nella commissione, che passa fra I banchi con un confortante vassoio di caramelle. Piccoli gesti che creano un’atmosfera speciale: sia fra compagni sia fra professori si crea una strana complicità, come se antipatie, rivalità e disistima fossero sparite a fronte di quell’ultima prova da affrontare insieme.

Il secondo giorno, in cui è prevista la prova di traduzione dal greco, la tensione è ancora più alta, e diventa disperazione quando ci viene assegnato un testo di Aristotele mostruosamente difficile. Dopo la batosta della seconda prova, alla terza, vera bestia nera degli scritti, l’agitazione è alle stelle, ma ancora una volta viene addolcita dalla vicinanza dei compagni, dal sostegno silenzioso dei nostri professori, che sembrano preoccuparsi e soffrire con noi, da quei rapidi sguardi pieni di tensione ma anche di incoraggiamento. C’è la percezione sempre più forte di star vivendo un momento cruciale, intenso, impegnativo, ma soprattutto emozionante.

to be continued…

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