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Impressioni del terremoto, da sotto il banco

Il pagellone è in una situazione difficile. Se il compito delle pagelle è dare voti, che voto dovremmo dare alla gestione del terremoto?
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Il pagellone si trova in una situazione difficile. Se il compito delle pagelle è dare voti, che voto dovremmo dare alla gestione delle scuole in circostanze di emergenza?

Dipende. 

Il mio voto basso dato alle strutture degli edifici scolastici sarebbe ingiusto. A detta di tutti, la regione Emilia-Romagna non aveva un fico secco di cui preoccuparsi: in questa felice terra si poteva stoccare, sotterrare, costruire, trivellare, tanto nemmeno nei nostri incubi più elaborati avremmo mai visto un terremoto. Gli edifici realizzati prima delle leggi antisismiche reggono a tutto, tranne che ad un terremoto (se questa è la regola nelle zone a rischio, figuratevi in un territorio da sempre ritenuto sicuro). E questo, signore e signori, vale anche per le scuole – proprio quei posti in cui bambini e ragazzi dai 3 ai 18 anni si recano ogni giorno. 

Se ora mi è concesso essere qui a scrivere, guardando i fatti a posteriori, lo devo alla fortuna: ho i brividi pensando che, come sono crollati dei capannoni uccidendo operai innocenti, sarebbero potute crollare anche le scuole. In vari paesi delle zone colpite, gli edifici sono fortunatamente rimasti in piedi, ma a malapena: i danni sono tali che queste scuole andranno comunque abbattute (e nel frattempo, da settembre, i ragazzi dove studieranno? Si rispolvererà il vecchio metodo di Mago Merlino, sotto al melo?). 

Così, mentre mi accucciavo sotto al banco durante una delle tante scosse, varie considerazioni mi passavano per la testa, forse volendo ingannare la mente impanicata. Prima di tutto, pensavo a quei professori che si sono presentati regolarmente a scuola, nonostante avessero perso la casa già dopo la prima scossa di domenica 20. Subito dopo, ho pensato ai miei colleghi più grandi, che devono dare l'esame di maturità con il terrore di un'eventuale scossa in qualsiasi momento. Poi ho ripassato mentalmente le manovre di sicurezza insegnateci, le quali comprendevano la fuga giù per un'unica, sottilissima, rampa di scale per circa 150 persone, e infine il punto di ritrovo sotto ad un cornicione (era pensato in caso di incendio).

Ma l'irritazione più grande è la stessa che devono aver provato gli operai il 29: perché non si è deciso di chiudere l'anno scolastico, già dopo le prime scosse di domenica? Solo il martedì, dopo la scossa più intensa, l'Ufficio Scolastico Regionale ha decretato che i giorni persi a causa degli eventi sismici non avrebbero pregiudicato la validità dell'anno scolastico.

Mi scuserete se questo mio intervento tende a scadere in una sorta di polemica, ma sarebbe carino scoprire quanto la mia vita (e non solo la mia, è questo il punto) possa essere a rischio semplicemente recandomi a scuola. 

Forse, in tutto questo, noi e i lavoratori abbiamo molte più cose in comune di quanto sembri. In genere, ci si preoccupa poco di noi: eppure sia uno studente, sia chi è morto sotto le macerie di un capannone, in qualche modo cercava di costruire qualcosa. 

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