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A caccia di schede telefoniche

Io, intanto, il mio bel mazzetto lo conservo ancora, con le sue tessere da 5.000, 10.000 e 15.000 lire. Un altro bel pezzo andato dei mitici anni’80/’90.
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Se ne stanno lì, in disuso, dimenticate da tutti, eccezion fatta per quei vandali che, nel tempo, le hanno trasformate in semplici carcasse di plastica e metallo pronte per essere definitivamente sradicate e rottamate. Sono le vecchie cabine telefoniche.
E dire che un tempo c’era anche la fila per utilizzarle, essendo pressoché l’unico mezzo per informare casa di un eventuale ritardo o per chiedere magari maggiori lumi riguardo all’esatta posizione di un ufficio. Accadeva quando il telefono cellulare era ancora roba per pochi e, di certo, non per ragazzini. Una quotidianità trascorsa senza nemmeno un sms (in realtà, a loro volta, ormai sulla via del tramonto) o una partitina a Angry birds. Sembra fantascienza, lo so.
Per telefonare c’erano i mitici gettoni da 200 lire, almeno fino all’avvento delle famigerate schede telefoniche, diventate, durante gli anni ’90, vera e propria mania collezionistica per noi ragazzini.
Era l’età delle medie.

Introdotta sul finire degli anni ’70 dalla SIP (la Telecom di oggi), invenzione tutta italiana, la scheda telefonica era una semplice tessera plastificata che consentiva, una volta inserita all’interno dell’apparecchio telefonico, di chiamare sfruttando un traffico prepagato.
Nella prima metà degli anni ’90, in concomitanza al successo commerciale, l’azienda iniziò a diversificarle nel design, sfruttando le sue superfici per ospitare messaggi pubblicitari di diversa natura. Un arcobaleno di marchi, colori e messaggi. Il necessario, insomma, per dar vita ad un vero e proprio collezionismo di massa.

Per dei normalissimi ragazzini squattrinati collezionare schede telefoniche era la scelta perfetta. Non si spendeva una lira e, soprattutto, c’era il brivido della caccia.
Finito il credito, le schede venivano infatti perlopiù abbandonate a se stesse sulle cabine, gettate in terra o dimenticate in chissà quale sperduto angolo di strada. Soluzioni che, per chi, come me, si ritrovava a dover viaggiare per raggiungere casa una volta usciti da scuola, erano l’ideale.
La stazione centrale, con la sua bella fila di telefoni pubblici al suo esterno, non poteva che apparire come una sorta di immenso scrigno delle meraviglie da passare in rassegna, attentamente, ogni giorno della settimana (domenica esclusa, naturalmente).
Si controllava dappertutto, e poteva anche capitare di accostarsi ad una cabina, a poca distanza, in attesa che l’estraneo di turno terminasse la telefonata. Cioè, metti il caso che quelli fossero gli ultimi scatti di vita della sua carta telefonica?!
Messe le mani su qualche nuovo esemplare (magari di una tipologia a bassa tiratura), ecco che la caccia poteva dirsi conclusa. Treno. Casa.

Con la diffusione a macchia d’olio del telefono cellulare e l’ovvio declino delle cabine pubbliche, le schede telefoniche hanno presto smesso di circolare, diventando perlopiù chincaglieria adatta a qualche banco da mercato delle pulci. Roba tipicamente antiquata, ormai.
Io, intanto, il mio bel mazzetto lo conservo ancora, con le sue tessere da 5.000, 10.000 e 15.000 lire. Un altro bel pezzo andato dei mitici anni’80/’90.

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