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Una poesia al mese: novembre

Dedichiamoci a un'arte che ci scorre nelle vene ma - e proprio non ci spieghiamo come! - rischia di essere sempre meno letta. Ciao, Poesia!
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Siamo giunti al secondo appuntamento, miei cari Kiddies, con lo spazio dedicato a un’arte che ci scorre nelle vene ma – e proprio non ci spieghiamo come! – rischia di essere sempre meno letta. Dopo i nostri versi per ottobre,  salutiamo di nuovo in coro la signora Poesia! 

I versi che vi proponiamo hanno sempre la particolarità di affrontare, più o meno velatamente, il mondo dell’infanzia: siamo infatti convintissimi che lo sguardo del Poeta sia di fatto lo sguardo di un bambino.

Buona lettura…

photocredit: http://themarlowebookshelf.blogspot.it/2010/09/all-about-seasons.html

Nelle stagioni

La fine dell’estate
già muove un nuovo inizio;
mutevole per lunghi giorni, il vento
respira nella notte
quasi fermo, portando
quest’aria ai volti presuntuosa,
che solleva i petti e gela i finestrini.
Nelle strade sparse a cenni tornano
le luci, lungo i marciapiedi è quasi
un gioco riconoscere il lavoro
dell’addobbo che si è aggiunto al lavoro
di sempre; se hanno preferito
un albero di spray,
bianco ma sbiadito,
oppure un presepio di
cartone colorato
o il volto di un babbo conosciuto che
trasfonde il conforto del
suo inganno taciuto.
E per le vie cittadine
si preparano tutti
a passeggiare, ad ascoltare
la voce dei portoni,
nell’alito di lana che traspira
dalle sciarpe, dei gradini scuri che
si perdono sul filo delle scale,

in alto, nelle abitazioni.
Mentre in piazza si ritrovano
gli anziani con le loro
biciclette a mano, tenute
ferme sul fianco come
cani fedeli, e i volti sfiorati
dalla consuetudine alla vita.
Qui nell’aria dorata
della piazza si scambiano sconce
barzellette, ad agosto, a capodanno,
e non sentono il tempo,
questo tempo di stagioni,
delle giovani intenzioni
che aprono il mattino e
sfumano nel vento
basso della sera;
solo la triste signora hanno nel cuore,
sotterranea angoscia di sparire.

E nelle domeniche più calda la
chiesa di cappotti e di pellicce,
si aspetta l’anno nuovo,
quello liturgico è già finito,
ma offerte alla carità
di Dio salgono preghiere
di persone in piedi e sconosciute,
che si rivedono poi in pasticceria
con una luce più chiara nel volto
e un sorriso leggero e breve,
forse uguale al mio.
Le strade deserte, a metà sospese
tra terra e cielo in un’aria bianca,
come artificiale, riportano col
silenzio di una slitta sulla neve
a casa, al calore tiepido che dai
letti di notte si propaga,
e rimane a lungo,
fino a fine giornata.
E ripenso ai passi uguali di mia
madre, in lontane domeniche
perdute, quando sul tavolo in cucina
portavano un pacchetto
uguale al mio- solo diversa
era la carta, bianca
con profili dorati,
mentre quella che porto
adesso ha il colore marrone del bronzo;
ripenso allo stesso silenzio che
doveva esserle compagno,
a quel docile pensiero di tornare
a casa, al domestico odore del sonno.
Se può resistere un

ricordo, resistenza oppone
il tempo, infinito ed eterno,
come se nulla fosse mai stato,
né per noi, né per nessuno.

E un tempo nei tardi pomeriggi
il cielo si riempiva di grida e di
picchiate, quasi sconvolto
dalle adunate, dagli eserciti
di rondini a radere terrazzi
e finestre; e dopo i temporali
imprigionate nella
rete della balaustra, ad una ad una
con le mani che tremavano
dall’entusiasmo e dalla paura,
tante ne abbracciavamo
in un panno per riporle in vecchie
scatole per scarpe, e lasciarle riposare,
e vedere se erano ferite;
poi una volta il volo di un’improvvisa
guarigione portò scompiglio in alto,
tra le tende ricamate
della camera matrimoniale,
tra le risate nostre e gli urli di mia madre.

Il vento di polvere
azzurro all’alba di gennaio batte
ai vetri di quelle finestre,
ignaro promette alle stanze l’aria
rosa di una nuova primavera – ma
quei profumi hanno lasciato il loro incanto,
perduto la loro bellezza nella fuga.

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