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The Hate U Give

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the hate u give

Angie Thomas, The Hate U Give, Giunti

Arriva dagli Stati Uniti un esordio che in poco tempo si è fatto notare: in cima alla classifica Young Adult del New York Times, acclamato dai lettori e presto nelle sale cinematografiche in un film diretto da George Tillman Jr.

Angie Thomas certamente non si aspettava tutto questo mentre metteva la parola fine a un libro che l’ha impegnata, con fasi alterne, per più anni, The Hate U Give, arrivato ora anche in Italia grazie a Giunti Editore.

Thug Life

Thug Life, comunemente tradotto come “vita criminale” (“vita da teppista”, leggeremo nella traduzione di Stefano Bortolussi del romanzo), è un’espressione che nasconde invece al suo interno molti significati e molte storie.

A metà degli anni ’90 il rapper Tupac Shakur prese infatti l’espressione “Thug Life” e le diede nuovi significati.

Era, per esempio, il nome di un gruppo rap che formò con l’obiettivo di dare una possibilità a giovani aspiranti rapper, facendoli emergere nella scena musicale.

L’espressione “Thug Life”, però, rappresentava molto di più, divenne una parte importante del suo pensiero. Come si può ascoltare dalla sua voce nel documentario Tupac: Resurrection, “Thug” non identifica per Tupac un criminale, ma qualcuno che non ha nulla e che supera tutti gli ostacoli, qualcuno che anche quando non ha neanche una casa a cui tornare, cammina a testa alta e ha il coraggio di parlare. Non un criminale, ma colui che ce la fa, nonostante tutto. Per Tupac l’America in sé è “thug life”; la vita del ghetto lo è certamente e per questo – diceva – avrebbe bisogno di aiuto e di soldi, per farla diventare auto-produttiva e non auto-distruttiva.

Tupac conosceva bene la vita del ghetto, aveva avuto un’infanzia difficile, vivendo anche per strada, in condizioni di estrema povertà. Sapeva insomma quello di cui parlava e cantava, e si sente anche adesso, a più di vent’anni dalla sua morte.

The Code of Thug Life era un manifesto etico con 26 regole rivolte alle gang del ghetto, da rispettare perché persone innocenti all’interno della stessa comunità non si trovassero a essere vittima delle rivalità tra gang.

Thug Life, e qui arriviamo anche al titolo del libro, diventa nel pensiero di Tupac anche un acronimo che riassume bene presente e futuro.

The Hate U Give Little Infants Fucks Everybody

Come l’autrice fa spiegare a uno dei suoi personaggi:

L’odio che rovesciamo sui bambini fotte tutti. […] Nel senso che quello che la società ci vomita addosso da piccoli le si rivolta contro quando ci incazziamo.

Tra le fonti di ispirazione di Angie Thomas, in The Hates U Give la presenza di Tupac è evidente già dal titolo, che riprende la prima parte dell’acronimo di Thug Life; inoltre le parole di Tupac Shakur e la sua presenza (anche solo nel poster appeso in una cameretta) ritorneranno più volte nel libro.

The Hate You Give

Il romanzo di Angie Thomas nasce dapprima, nel 2009, come un racconto breve all’interno del suo percorso di studio nel programma di scrittura creativa della Belhaven University. L’ispirazione venne dall’uccisione, nel 2009, di Oscar Grant, un ragazzo afroamericano, a Oakland in California.

Il racconto poi crebbe, ma fu messo da parte dopo la laurea. Ulteriori episodi di cronaca, l’uccisione del diciassettenne Trayvon Martin, del diciottenne Michael Brown, del dodicenne Tamir Rice e il suicidio della ventottenne Sandra Bland, hanno riportato alla luce per Angie Thomas l’urgenza e la necessità di continuare e terminare il romanzo.

Si trattava infatti di storie, età e vite diverse, tutte con qualcosa in comune: il colore, nero, della pelle delle vittime. Tutte disarmate.

Insieme ai loro, molti altri sono i nomi trascritti alla fine del romanzo, un omaggio a queste vite spezzate e un invito, per noi, a non dimenticarle.

Starr, una voce che cresce

La storia di Starr si divide in cinque parti, di cui la prima prende gran parte del peso e delle pagine della narrazione, lì è narrato “il fatto” attorno a cui ruota la storia e le sue conseguenze più immediate.

Tutto comincia da una festa, a casa di Big D. C’è tantissima gente, Starr si è fatta trascinare dalla sua amica Kenya ma non si sente molto a suo agio con i capelli raccolti in una semplice coda di cavallo e con addosso la felpa del fratello Seven. Sente di essere per tutti solo “la figlia di Big Mav che lavora al negozio”, senza un nome, mentre l’amica Kenya le dà della snob perché non frequenta più, come gli altri ragazzi del quartiere, la scuola di Garden Heights, nel ghetto in cui vivono, ma ora va alla Williamson Prep., un istituto a tre quarti d’ora di distanza.

In effetti, è come se la vita di Starr fosse divisa in due mondi non comunicanti. C’è la vita con la famiglia nel ghetto a Garden Heights, dove il padre ha un piccolo negozio di alimentari e dove non è raro sentire ogni tanto qualche sparo echeggiare nelle strade. Proprio in quelle strade, Starr si è trovata ad assistere, sei anni prima, durante una sparatoria tra gang rivali, alla morte della sua migliore amica Natasha. Dopo quel tragico evento, soprattutto per volere della madre che vuole dare a lei e ai suoi fratelli un futuro migliore, Starr frequenta una nuova scuola, dove è uno dei pochi studenti di colore e dove sente di dover essere diversa, di dover parlare e muoversi in maniera controllata, per non essere classificata come “quella del ghetto”. Ha anche un ragazzo, Chris, ma è bianco e forse anche per questo a casa non ne sa niente nessuno.

Proprio nel momento di maggior disagio durante la festa, mentre è rimasta sola e vorrebbe confondersi con la tappezzeria, arriva con il suo grande sorriso Khalil, amico di infanzia. Non si vedono da tanto, ma la confidenza è tale che subito si ritrovano a ridere e scherzare come se non fossero mai stati lontani.

Ad un certo punto, però, quella che è solo una festa, per quanto confusionaria, si trasforma nello scenario di una rissa in cui presto si passa dalle mani alle armi. Sentendo dei colpi di arma da fuoco, la folla di disperde, Starr trascinata da Khalil lascia la festa, arrivano alla sua macchina e vanno via di corsa. Tornata la tranquillità, continuano a chiacchierare delle loro vite attuali e del loro passato fino a quando una sirena della polizia non li fa sobbalzare. Starr ha paura, Khalil è scocciato per essere stato fermato nonostante stesse rispettando i limiti di velocità così viene fatto scendere dall’auto; viene perquisito ma non ha niente addosso. Mentre il poliziotto controlla i suoi dati, il ragazzo fa un movimento improvviso verso la portiera dell’auto per chiedere a Starr se va tutto bene. Altrettanto improvviso sarà il colpo di pistola del poliziotto e per il ragazzo non ci sarà nient’altro da fare che morire tra le braccia della sua amica che, a sua volta, il poliziotto tiene sotto tiro in attesa dei rinforzi. Così, incomprensibile, ingiustamente e in attimo. Tutto cambia.

Questo è “il fatto ” che scandirà – anche temporalmente – la storia.

All’inizio la volontà dei genitori è quella di proteggere Starr, sanno che ci sarà un gran trambusto a Garden Heights e non vogliono che si sappia che è lei la testimone di cui tutti parlano. La stessa Starr non vuole esporsi, non rivela a nessuno ciò che le è successo, anche nella sua scuola, alle sue amiche e al suo ragazzo. Eppure per tutti è evidente che le è successo qualcosa e che la morte dello spacciatore ucciso da un poliziotto per legittima difesa (così qualcuno interpreterà la vicenda) l’ha sconvolta.

Il tempo, però, passa. La giustizia, nonostante la sua testimonianza, sembra farsi sempre più lontana, così Starr sente nascere il bisogno di gridare sempre più ad alta voce ciò che ha vissuto, di rendere giustizia a Khalil, come lui certamente avrebbe avuto il coraggio di rendere giustizia a lei.

Il volto di Khalil, tanti volti

Non è facile la vita a Garden Heights, ed è difficile non mettersi nei guai. Lo stesso padre di Starr è stato in prigione mentre la figlia era piccola: apparteneva a una gang, i Lord King. Proprio aver passato degli anni in prigione, prendendosi la colpa di qualcun altro, gli aveva permesso di uscire fuori dal giro, altrimenti non sarebbe stato semplice. Lo stesso Khalil è in difficoltà perché vive con una nonna malata (che per i problemi di salute ha perso il lavoro), mentre la madre è assente. Proprio per pagare i debiti della madre, che aveva rubato della droga a uno spacciatore, Khalil si era ritrovato a spacciare.

Il fratello maggiore di Starr, Seven, è figlio della madre della sua amica Kenya, conosciuta da tutti nel quartiere come prostituta e ora compagna di King, il più grande spacciatore del ghetto e capo della gang dei Lord King.

Starr, per quanto protetta dalla sua famiglia, è consapevole della realtà in cui vive; i suoi genitori – soprattutto il padre – le hanno trasmesso l’importanza dell’impegno nella comunità per migliorarla. Nel negozio del padre è appesa una foto di uno dei due fondatori delle Pantere Nere, Huey Newton, Starr conosce a memoria, come fossero i dieci comandamenti biblici, i dieci punti programmatici del manifesto delle Pantere Nere. A dodici anni le è stato insegnato come comportarsi nel caso fosse stata fermata dalla polizia e, nonostante la giovane età, aveva capito da subito che si trattava di una questione molto seria.

L’uccisione di Khalil e la successiva vicenda giudiziaria creano scompiglio nelle strade del quartiere, ma non fanno che portare in esso distruzione, una distruzione che colpisce le stesse vittime, distruggendo i loro negozi, incendiando le loro strade, facendovi arrivare carri armati e orari di coprifuoco, come se fosse in corso una vera e propria guerra.

Il romanzo di Angie Thomas ha molto da raccontare (per quanto mi sia dilungata più del solito, infatti, non vi ho ancora detto molto). Non si può leggerlo senza avere la curiosità di andare a scoprire o rivedere la storia delle Pantere Nere, di Martin Luther King, di Malcom X, i testi e le musiche di Tupac oltre ai fatti di cronaca che ci ricordano che Khalil dà il volto a molti altri ragazzi di cui non conosciamo il nome.

The Hates U Give ritrae una realtà dura e dolorosa. Ci ricorda che il razzismo è sempre lì, girarsi dall’altra parte non lo farà sparire. La brutalità della polizia, per quanto spesso impunita, deve continuare ad essere condannata e non deve essere mai taciuta. Come ricorda la madre di Starr alla figlia, tenendola per mano in un momento di sconforto:

A volte si fa tutto nel modo giusto e va male lo stesso. L’importante è non smettere mai di fare la cosa giusta.

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