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Professione: Archeologa

L’archeologia non è soltanto passione, scoperta, fascino dell’antico, ma è una professione come tante altre e che in quanto tale deve essere riconosciuta.
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Che lavoro fanno i vostri genitori? Immagino tanti e diversi fra di loro: l’ingegnere, l’avvocatessa, il medico, l’infermiera, la maestra, l’idraulico, la parrucchiera, l’operaio… Se date un’occhiata alla loro carta d’identità, alla voce “professione” troverete l’indicazione del lavoro che il vostro papà e la vostra mamma svolgono e presumo che nessuno se ne sia mai stupito e abbia chiesto spiegazioni in merito.

Qualunque mestiere o professione i vostri genitori facciano, con più o meno entusiasmo e dedizione e dopo aver, in molti casi, studiato per parecchi anni, percepiscono uno stipendio, hanno dei diritti che vengono riconosciuti dal loro datore di lavoro, ogni anno hanno dei giorni di ferie da dedicare alle vacanze e ella famiglia, possono assentarsi per problemi di salute o magari, nel caso della mamme, se sono incinte, senza per questo rischiare di perdere il proprio posto di lavoro al loro rientro.

Certo, non sempre le cose filano lisce come dovrebbero; viviamo in una società assai complicata e ingiusta in cui frequentemente i diritti di chi lavora non vengono rispettati e a volte accade che i più forti, ricchi e prepotenti abbiano la meglio sui più deboli e indifesi. Ma in generale è così che dovrebbe funzionare: chi svolge dei compiti che contribuiscono a migliorare la qualità della vita, nostra e del Paese in cui viviamo, devono ottenere qualcosa in cambio, innanzitutto soldi e diritti.

Sulla mia carta d’identità, alla voce “professione”, c’è scritto “archeologa”. Ricordo che, quando alcuni anni fa mi recai presso l’ufficio del mio comune per rinnovare il documento, l’impiegata strabuzzò gli occhi quando le dissi di scrivere archeologa e mi chiese di ripeterlo più volte, forse perché pensava mi fossi sbagliata.

Ma io non mi ero affatto sbagliata e come me i tantissimi archeologi e archeologhe italiane sulla cui carta d’identità c’è scritto archeologo/a.

L’archeologia non è soltanto passione, scoperta, fascino dell’antico, ma è una professione come tante altre per esercitare la quale occorre dedicarsi allo studio a lungo, specializzarsi, applicarsi sul campo, investire tempo e denaro. E c’è ben poco di entusiasmante e poetico in un archeologo che, terminato il suo percorso di studi e fatto il suo ingresso nel mondo del lavoro, si trova a lavorare in un cantiere urbano per la costruzione di un parcheggio sotterraneo o per la messa in opera di tubature e che deve non solo scavare e documentare i resti archeologici, spesso in tempi strettissimi, ma deve anche dialogare con gli operai, con l’architetto, con il responsabile della ditta per convincerli dell’importanza e delicatezza di quanto sta facendo e questo magari mentre piove o fa caldo e i curiosi si accalcano ai bordi del cantiere e domandano se sono state rinvenute delle tombe o scheletri di dinosauri (la fantasia archeologica degli italiani, ahimè, è assai limitata!)

In Italia questi archeologi, quelli che trascorrono in questo modo tutt’altro che esaltante gran parte delle loro giornate lavorative, finché hanno coraggio e pazienza e fino a quando lo scoramento, le difficoltà, la voglia di concedersi un futuro non li costringono a cambiare lavoro, non sono riconosciuti né tutelati, come se non esistessero o fossero invisibili.

Da anni molti archeologi si battono perché ciò avvenga, perché lo Stato presti loro maggiore attenzione e faccia delle leggi che contribuiscano non solo a sancire pubblicamente il ruolo dell’archeologo come professionista, ma che servano anche a fare in modo che questa professione possa essere svolta nella maniera più serena, sicura e trasparente possibile, possibilmente per tutta la vita se lo si vuole e non soltanto fino ai 30 o 35 anni al massimo.

In questi ultimi giorni, la battaglia, mai terminata perché non ancora vinta, è ripresa più accesa che mai. Gran parte degli archeologi e delle archeologhe italiane hanno rivolto un appello (anche su twitter) a Massimo Bray, il nostro Ministro per i Beni e le attività culturali e del turismo, un politico molto sensibile a temi come la difesa e la valorizzazione del patrimonio artistico nazionale, affinché li aiuti a vincere la loro battaglia per il riconoscimento della professione di archeologo. Se ciò accedesse, probabilmente molti altri problemi resterebbero irrisolti, ma questo primo importante traguardo darebbe a tanti la forza e la fiducia per continuare a combattere e immaginarsi un futuro diverso.

“Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”.

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