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Il lettore infinito contro i lettori finiti

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Se dovessi scegliere una parola chiave per riassumere o definire questo libro, ha esordito Gabriela Zucchini per la presentazione del Lettore infinito di Aidan Chambers alla Bologna Children’s Book Fair, sceglierei la parola responsabilità. Direi: responsabilità educativa, poiché quello di Chambers è un lavoro che non ha al centro il libro, ma il lettore e dunque la responsabilità dell’adulto nell’educazione alla lettura.

Benedetto Vertecchi (già presidente del Centro europeo dell’educazione e dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione) individuava nella necessità di leggere ai ragazzi tutti i giorni, la via d’uscita a una crisi dell’istruzione che negli ultimi anni ha invertito i propri fattori – che se un ventenne un po’ di tempo fa era più istruito di un quarantenne adesso è il contrario. Vertecchi aggiungeva alle cause del declino dell’istruzione italiana la fine della scrittura a mano, quando la scrittura al computer comporta la ripetizione di uno stereotipo iniziale e non determina la rielaborazione del messaggio.

Comunque, adesso che scrivo per voi, di youkid, che non so se avete già letto altre volte le cose che scrivo, oppure se questa è la prima volta, non lo so, ma adesso, mentre scrivo, l’intenzione di motivare ciò che dico con dati, nomi, ricerche – intenzione che di solito non mi manca, mi manca.
Giustamente se argomenti, devi avere argomenti – pezze d’appoggio teoriche, altrimenti vai per campagne.
Ma sapete cosa?
Anche quando cito quel nome, quella ricerca, quell’articolo.
Anche quando riporto fedelmente tutto quello che ha detto uno dei più grandi scrittori di libri per ragazzi e teorico della letteratura e della lettura.
Anche in questo caso, nella vita scolastica di molti professori, nella prassi dei ragazzi che ascoltano quei professori, in molti dei ragazzi che stanno prendendo l’abilitazione per diventare professori, non succede proprio un bel niente.

E questo è un bel paradosso, perché rinviando all’auctoritas, si dà per certo che non si stanno formulando pensieri iniziati e finiti nella solitudine della propria stanza, e c’è caso di essere ascoltati; tuttavia ciò che viene ascoltato viene anche ricondotto entro un processo di addomesticamento della teoria dove a subire il più radicale degli adeguamenti non è il concetto che sostiene la teoria, ma i fatti concreti che devono venire dopo, perché la teoria diventi pratica.

Un po’ contorto? Vediamo se va meglio così:
maestri e professori non sempre sono fruitori di letteratura e non sempre sanno leggere a voce alta o trovano il tempo per farlo. Maestri e professori non sempre sono a proprio agio con l’attività creativa, e non sempre scrivono insieme ai loro bambini e insieme ai loro ragazzi.

Quello che sento richiedere spesso, da chi lavora a scuola, sono ‘strumenti’ per l’insegnamento, e se gli ‘strumenti’ si rivelano essere capacità funzionali che gli insegnanti devono mettere in pratica, allora non si parla più di strumenti ma di ipotesi poco plausibili.
Sono accessori strumentali: un manuale; un modulo didattico; schede fotografiche; un cd; un sito; un gioco interattivo, e via dicendo.
Ma i veri strumenti sono: la capacità di osservazione (che pochi mettono seriamente in pratica); la capacità di utilizzare la propria voce in lettura, in scrittura e nell’oralità.
Uno degli elementi del Reportage fotografico a parole di Amedeo Savoia e Giulio Mozzi, per l’Iprase di Trento, è il lavoro collettivo di correzione da parte degli insegnanti che porta gli insegnanti stessi a confrontarsi con la scrittura che diventa così uno spazio condiviso dove il lavoro è un continuo, faticoso, complesso processo di auto-perfezionamento.
Una insegnante che usa questo metodo di fare e far fare, al modo dei maestri di bottega, ha vinto ora il Nobel. Maestro di bottega, parole testuali che ho ascoltato anche durante l’incontro di Bologna.
Ma ancora teorie, ancora nomi, quando a mancare sono i fatti.

E se imparassimo ogni giorno a leggere un albo illustrato?
Gli albi illustrati sono i migliori filosofi dell’infanzia perché come le fiabe non fanno vedere più cose a un bambino di quelle che il bambino è pronto a vedere e riconoscere; gli albi possono mantenere il bambino nel punto in cui si trova, dandogli conferme emotive, esistenziali, ma possono anche spostare il bambino dal punto in cui si trova, accrescendo la sua consapevolezza nei confronti di se stesso e del mondo che lo circonda.

E se sapessimo cosa è uscito di nuovo per i più piccoli, cosa funziona per i più grandi?

Se fossimo in grado di consigliare per ciascuno dei nostri ragazzi in classe il libro giusto per lei, per lui?

Se riuscissimo a rimettere dentro la letteratura il senso di sovversione alla realtà e di divertimento e di inganno della letteratura?

Se ci accollassimo finalmente questa responsabilità di educare alla lettura essendo noi per primi lettori consapevoli per loro e lettori per noi stessi?
L’Italia è piena di gente che lavora bene con e per i ragazzi e con e per i libri per ragazzi; che parla di scuola, di creatività; gente che fa libri, che promuove la lettura, che crea percorsi tematici, che organizza festivalconcorsi e i maestri e i professori queste realtà le devono conoscere (mi scuso della esigua scelta a fronte delle realtà presenti su tutto il territorio).

Chi lavora a scuola deve conoscere la letteratura per ragazzi, deve chiedersi perché nei libri per adolescenti è pieno di orfani e di destini, perché dentro I mostri selvaggi ci sono le fasi lunari, ma la storia sembra durare mezz’ora.

Aidan Chambers aveva posto questa scritta, dietro la sua cattedra:
io sono qui per insegnarvi a vedere attraverso le bugie che non so che sto dicendo.

Educare alla lettura significa educare al pensiero critico, e servono adulti che abbiano il senso della propria responsabilità e che abbiano amore per i libri, la lettura, la letteratura:  dunque è ora o non è ora di passare dalla teoria ai fatti?

L’immagine di copertina è di Alessandro Sanna.

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