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Il gioco di Tespi, per cominciare

C'era una volta Tespi, secoli e secoli fa. Una voce fuori dal coro che rivoluzionò le feste di Atene e diede il via al teatro come noi lo conosciamo.
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Immaginate la scena.

Siamo ad Atene. È la primavera del 534 a. C.. Il sole illumina gli ulivi e in giro c’è aria di festa. Le chiamano le “Grandi Dionisie”, cinque giornate di celebrazioni dedicate al dio Dioniso. Tutta la città si diverte. Per le strade c’è gente che suona flauti e tamburi, altri che urlano ubriachi con pelli di animali addosso.

Nel centro della piazza un gruppo di ateniesi comincia a danzare in cerchio. Quello che fanno, in realtà, è più che danzare. È danza, musica e poesia messe tutte assieme. Invocano Dioniso, s’infilano ghirlande al collo e cantano forte il nome del dio.

Ora, la cosa va così da tempo e non è che succeda altro. Si suona-danza-canta nel nome di Dioniso tutti assieme ed è già parecchio divertente.

Stavolta però qualcosa di diverso succede. 

Dal gruppo disposto lì in cerchio si stacca un ragazzo. C’è chi già lo conosce perché è un vagabondo e non sta mai fermo. Il suo nome è Tespi.

Tespi prende del gesso mentre tutti lo guardano e se lo spalma in faccia. Con la faccia tutta bianca si mette al centro del cerchio e comincia a parlare. Le parole che escono dalla sua bocca però non sono quello che direbbe Tespi. Sono quelle che direbbe Dioniso. Risponde alle invocazioni del coro come se fosse lui. Insomma, sta recitando la parte del dio.

Il gruppo resta un attimo perplesso a guardare quel ragazzino con la faccia sporca. Tespi sa di non essere Dioniso, ma c’è qualcosa di magico in quel gioco che stranamente funziona. Il coro gli risponde. Tespi allora risponde al coro ed eccolo lì, il teatro che nasce.

Ora, questo narra la leggenda e non sappiamo se andò veramente così. Non sappiamo se il primo attore sia stato Tespi, se interpretò Dioniso, se la gente si mettesse davvero le ghirlande al collo. L’unica cosa certa è che qualcuno un bel giorno si dev’essere staccato dal coro e deve aver detto “Hey ragazzi, aspettate un momento. Facciamo che io ora non sono più io, facciamo che io ora divento qualcun’altro”.

E pensateci. Esiste forse un modo migliore per conoscere l’altro che diventarlo?  

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